Ho scritto questa nota come indicazione storica e programmatica da fornire a coloro che chiedono l’investitura nel Prioratus Templi Hierosolimitani Mik’aelis (PTHM), del quale mi onoro di far parte, come Precettore.
1. Chi erano i cavalieri del Tempio?
Gerusalemme era stata conquistata il 14 luglio del 1099. Nell’incerta sicurezza del Regno di Gerusalemme, un gruppo di nove cavalieri guidati da Hugo di Payns aveva offerto al re Baldovino di consacrarsi alla difesa della Terra Santa e delle sue strade. Il re aveva loro concesso come dimora le antiche stalle di Salomone, sulla spianata del Tempio. Questo è il racconto della nascita dell’Ordine, lasciato da Giacomo di Vitry, vescovo di Acri, nel XIII secolo:
“Alcuni cavalieri armati da Dio e ordinati al suo servizio rinunciarono al mondo e si consacrarono a Cristo. Con voti solenni,pronunciati davanti al patriarca di Gerusalemme, si impegnarono a difendere i pellegrini contro i briganti e predatori, a proteggere le strade e a fungere da cavalleria del re sovrano. Essi osservano la povertà, la castità e l’obbedienza, secondo la regola dei canonici regolari. I loro capi erano due uomini venerabili, Ugo di Payns e Goffredo di Saint Omer. All’inizio solo nove presero una così santa decisione, e per nove anni servirono in abiti secolari e si vestirono di quel che i fedeli davano loro in elemosina. Il re, i suoi cavalieri e il signore patriarca provarono grande compassione per questi uomini nobili che avevano abbandonato tutto per Cristo, e donarono loro alcune proprietà e benefici per provvedere ai loro bisogni, e per le anime dei donatori. E, poiché non avevano chiese o dimore di loro proprietà, il re li alloggiò nel suo palazzo, vicino al Tempio del Signore. L’abate e i canonici regolari del tempio diedero loro, per le esigenze del loro servizio, un terreno non lontano dal palazzo e, per questa ragione, furono chiamati più tardi, templari”.
Questo racconto, seppure scritto a distanza di tempo dalla fondazione dell’Ordine, è significativo. Ci conferma infatti che i templari avrebbero inizialmente seguito la regola dei canonici del Santo Sepolcro e cioè quella agostiniana e non la benedettina. Pone inoltre l’accento sul fatto che i cavalieri originari sarebbero stati nove ed avrebbero per nove anni servito il re in abiti secolari. Anche Guglielmo di Tiro dice:
“Impegnatisi da nove anni in questa impresa, non erano più di nove…”.
I nove anni sarebbero quelli intercorsi fra la fondazione del 1119 ed il concilio di Troyes del 1128, quando l’Ordine fu ufficialmente riconosciuto dal papa e ne ricevette la nuova regola. Nel riconoscimento e nella redazione della regola, fu determinante l’apporto di Bernardo di Chiaravalle.
In realtà ci sono dubbi che in cavalieri iniziali fossero solo nove e che l’ordine sia stato effettivamente fondato nel 1119: Michele il Siriano parla infatti di trenta cavalieri, che è un numero più credibile. Quando Hugo di Payns si recò in Francia nel 1127 per ricevere la regola era accompagnato da altri cinque compagni, ed è improbabile che egli avesse lasciato per la difesa della Terra Santa solo tre cavalieri. Sorge quindi legittimo il sospetto di trovarsi di fronte a racconti simbolici, e che i Templari abbiano a posteriori voluto associare alla fondazione dell’ordine il sacro numero nove.
Dopo la consacrazione del concilio, l’ordine si consolidò ed estese i propri compiti all’assistenza sulle vie di pellegrinaggio che in occidente conducevano ai porti di imbarco per la Terra Santa. I cavalieri offrirono un contributo determinante anche alla crociata contro i mori della penisola iberica, e si insediarono in modo stabile in Spagna e Portogallo.
Nel giro di pochi decenni essi erano diventati una potenza economica e militare tale da suscitare sospetti e, come scrissero i cronisti dell’epoca, da eccitare la cupidigia di molti. Quando il Regno di Gerusalemme fu perso e, uno alla volta, caddero anche gli ultimi fortilizi oltremare, sembrò che la ragione di essere dell’ordine fosse venuta meno. Essendo la loro una fraternità che rispondeva direttamente al pontefice, non soggetta ai sovrani degli stati in cui erano insediati, la potenza dei Templari apparve troppo ingombrante. In particolare il re di Francia, Filippo il Bello, cercò senza successo di ridurre l’indipendenza dell’ordine proponendone la fusione con quello degli Ospedalieri.
Nel 1303 i templari furono costretti ad abbandonare l’ultimo lembo di Terra Santa che ancora occupavano, un isolotto arido di fronte a Tortosa. Già nel 1305 cominciarono a circolare voci relative ad una loro presunta eresia, delle quali il re di Francia si fece subito interprete. Il resto è noto: nel 1307 il Gran Maestro, Jacques de Molay era giunto a Parigi per presiedere il capitolo generale. Il re colse l’occasione per ordinare in grande segretezza l’arresto suo e di tutti gli altri cavalieri, che fu eseguito contemporaneamente in ogni parte del regno. Si aprì così un estenuante braccio di ferro fra il re ed il pontefice, Clemente V, perché dal punto di vista giuridico i cavalieri erano soggetti alla sola autorità di quest’ultimo ed il re non avrebbe potuto imprigionarli. Filippo cominciò a raccogliere le confessioni dei templari, estorte con la tortura, e fra questa anche quella del Gran Maestro Jacques de Molay, usandole come strumento di pressione nei confronti del papa.
Nel 1308 Clemente V assolse i cavalieri prigionieri nella rocca di Chinon e revocò loro la scomunica. Fra questi il Gran Maestro e i più alti dignitari dell’Ordine. Filippo, vedendo profilarsi un’assoluzione dell’intero ordine, minacciò allora di aprire un processo per eresia e stregoneria contro il defunto Bonifacio VIII, che egli aveva combattuto con durezza fino al clamoroso arresto di Anagni. Che un re si arrogasse il diritto di far giudicare l’ortodossia di un pontefice avrebbe creato un precedente inaccettabile per la Chiesa. Filippo aveva già dato prova della sua determinazione facendo arrestare e bruciare il vescovo Guichard di Troyes, accusato di stregoneria, nonostante lo stesso papa l’avesse prosciolto dall’accusa. Di fronte a queste minacce Clemente V si arrese ed istituì commissioni di inchiesta diocesane per condurre l’indagine sulla presunta eresia templare, commissioni che si costituirono nel 1309. Convocò inoltre a Vienne un Concilio per discutere della accuse rivolte all’Ordine.
Le commissioni non cominciarono il loro lavoro che verso la fine dell’anno. Il Concilio fu dunque procrastinato al 1312. Nell’Italia settentrionale la commissione fu presieduta dall’arcivescovo di Ravenna, Rinaldo di Concoregio, il quale, nonostante le pressioni papali, si rifiutò di utilizzare la tortura. Anche a Venezia i templari furono trattati con rispetto. Si trattò tuttavia di casi isolati, perché come in Francia nel resto d’Italia e nella Firenze di Dante, gli inquisitori ricorsero alle torture più brutali per estorcere improbabili confessioni.
Il Concilio si aprì nel 1310 e Filippo non esitò a mettere subito al rogo 54 cavalieri, che avevano ritrattato quanto era stato loro estorto con la tortura, e a far arrestare e sparire i loro difensori. Tutto il Concilio si svolse dunque sotto la minaccia del re.
Nonostante le molte assoluzioni avvenute là dove le commissioni non fecero uso di tortura, il papa cedette alle pressioni del re e decise di promulgare, con l’appoggio del Concilio, una bolla di soppressione dell’Ordine. Nel 1312 emanò dunque la bolla Vox in excelsis con la quale sopprimeva il Tempio. Ma si trattò di una sentenza non definitiva, come la Bolla precisa: ”non con sentenza definitiva, ma con provvedimento apostolico, noi con l’approvazione del santo concilio, sopprimiamo l’ordine dei Templari…”. I beni dell’ordine furono affidati agli Ospitalieri, che tennero sempre distinte le loro proprietà da quelle del Tempio, nel caso fossero stati un giorno chiamati a restituirle.
La vicenda templare si concluse definitivamente due anni dopo, quando il Gran Maestro ritrattò le confessioni che gli erano state estorte. Filippo immediatamente lo mandò sul rogo. Si era nel marzo del 1314. La tradizione narra che egli morì coraggiosamente, il volto rivolto verso la cattedrale di Notre Dame.
Un cronista fiorentino, Giovanni Villani, racconterà in seguito che alcuni religiosi avrebbero raccolto i resti del Gran Maestro per nasconderli come reliquie sante in un luogo sacro. Egli così suggerisce la possibilità di una continuità segreta della tradizione e della gnosi templare anche dopo la soppressione.
2. Ci fu una dottrina segreta del Tempio?
E’ argomento assai dibattuto l’esistenza fra i cavalieri rossocrociati di un insegnamento segreto, iniziatico e perciò conosciuto solo dai vertici dell’Ordine. Molti indizi fanno ritenere che effettivamente questo ci sia stato. Lo pensa la studiosa Barbara Frale: “Nel Tempio erano in uso alcune tradizioni segrete, tramandate oralmente, delle quali nella normativa ufficiale non esisteva altro che un’impercettibile allusione”. Gli studi e le scoperte di Simonetta Cerrini dimostrano che in alcuni ambienti templari, ed in particolare fra i vertici, custodi della Regola dell’Ordine, si usarono pratiche magico teurgiche e ci si confrontò con la Cabbalà ebraica. Secondo la studiosa, numerosi episodi dimostrano come i Templari praticassero una tolleranza religiosa, che li portò ad insospettate convergenze con l’ebraismo e con quello stesso Islam che pure combattevano.
Robert John avanzò in un testo ormai celebre l’ipotesi di un collegamento tra la dottrina di Dante e dei poeti del Dolce Stil Nuovo con la presunta gnosi templare, producendo una messe voluminosa di indizi.Si tratterebbe di un insegnamento ad entrambi comune che, nascosto sotto il velo delle allegorie, avrebbe comunque riguardato solo una ristretta elite di cavalieri e di poeti.
La gnosi templare si sarebbe tramandata in modo segreto, come adombrato dal Villani, anche nei secoli successivi.
Ha fornito un contributo di grande interesse a sostegno di questa tesi, la Giornata fiorentina di Studi Templari promossa dal Collegium Militum Templi il 14 maggio 2010 nell’ex chiesa templare di San Jacopo a Firenze.
3. Il senso di un’investitura templare oggi.
Ma cosa significa oggi entrare in un’istituzione post templare? Ricevere un mantello bianco, un’onoreficenza e un titolo che hanno un valore solo morale? Se fosse così non ne varrebbe la pena. In realtà significa molto di più: riproporre cioè nel XXI secolo valori e princìpi che i Templari adottarono nove secoli fa e perseguirono in silenzio per quasi due secoli di storia. Furono proprio quei princìpi che provocarono la spietata aggressione al loro ordine e ne decretarono la scomparsa violenta.
Nove secoli fa fu fondato il Tempio, verso il 1119, e tutta la sua storia fu scandita dal numero Nove: nel 1128 (nove anni dopo) ricevettero la regola nel Concilio di Troyes, nove furono i cavalieri iniziali…Il Nove è un numero mistico e sapienziale che i Templari associarono intenzionalmente alla loro vicenda. E coincidenza vuole che anche l’anno del rogo del Gran Maestro, il 1314, sia riconducibile al Nove, che è la somma delle sue cifre. Questo nono secolo dalla fondazione assume pertanto un valore particolare per i post templari.
Cinque sono i valori fondamentali del Priorato di cui ci onoriamo di far parte ed ai quali deve improntare l’attività e la vita chiunque si ispiri al Tempio, non per gioco o curiosità ma per vera idealità.
- La fedeltà alla Chiesa.
I Templari erano soggetti solo al papa, non ai vescovi né al potere temporale. Questa fu la causa prima della loro rovina. Non si difesero perché in un papa sperarono fino all’ultimo. Ne furono traditi e abbandonati. Morirono da eroi, accusando un papa ma non la Chiesa, che il loro sacrificio salvò da un pericoloso scisma. Alla Chiesa rimasero fedeli fin sul rogo.
Da tutto questo consegue l’obbligo di portare nella società in cui viviamo i valori cavallereschi dell’onore e della fedeltà.
- Porre la spada al servizio della Cristianità.
Oggi l’arma di cui devono servirsi i nuovi cavalieri non è la spada, ma la Parola. Scritta, declamata, diffusa nella rete, non c’è arma più potente né più tagliente. Di questa despoti e tiranni hanno timore, più delle pistole e dei fucili. Leviamo la nostra parola in difesa dei valori cristiani, sui quali si è costruita tutta la civiltà occidentale.
- Indirizzare se stessi verso la Sapienza.
I cavalieri esplorano in libertà e retta coscienza il mondo dello Spirito, non come atto di vanità, ma come necessario cammino interiore, per rinvenire nel profondo di sé la vera cavalleria spirituale. Siano da guida le parole di Dante: “Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza” (Inf.XXVI,118-120) Conoscenza e virtù non sono separabili, la strada della sapienza è una strada di perfezionamento della persona nella sua totalità.
- Essere fra loro solidali.
La forza di una compagine si misura sulla solidarietà e sul mutuo soccorso fra i suoi membri. Dove non c’è solidarietà le battaglie sono perse in partenza.
5. Favorire il dialogo fra le culture e le religioni.
Dai quattro obiettivi precedenti, in modo solo apparentemente paradossale, scaturisce il quinto, forse il più nobile: favorire il dialogo fra le culture e le religioni.
Il dialogo non deriva da volontà di sincretismo o di relativismo, ma dal sincero rispetto degli altri cammini, consapevoli che l’Altissimo ogni giorno fa sorgere il sole su tutti i suoi figli con lo stesso amore.
I Templari combatterono per la Cristianità ma, come dimostrano i racconti di parte musulmana, nel rispetto delle altre fedi. Il dialogo culturale con l’Islam fu vivace ed i Templari furono debitori ai loro interlocutori di molta sapienza.
I Templari si rifiutarono di levare le armi contro altri cristiani e non parteciparono alla sanguinaria crociata contro l’eresia catara. Anche nei confronti dei Catari furono probabilmente debitori di conoscenza e questo favorì l’accusa che li portò alla fine. Oggi come allora i nuovi cavalieri del Tempio devono essere i promotori di dialogo, combattendo contro ogni fondamentalismo ed integralismo, da qualunque parte provenga.