“Quando venne la pienezza del tempo, Iddio mandò il Suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge” (Galati, 4,4).
L’unico accenno di Paolo alla madre di Gesù è questo: il Figlio di Dio nasce da una donna, arcano mistero dell’incarnazione.
Nella lettera di Paolo viene usata la parola “donna”, in greco “gynè”, non quella che indica una “vergine” (“partenos”).
Paolo non dà dunque peso alla questione del parto verginale di Maria, come invece Matteo e Luca i quali, comunque, scrivono dopo di lui.
Paolo vuole rimarcare il paradosso di un Dio che si incarna e nasce da una donna sposata, “gynè”, in una famiglia, che si fa cioè uomo fra gli uomini.
L’autore del vangelo di Matteo vive in un ambiente vicino alla zoroastrismo, probabilmente la Siria. Zarathustra aveva preannunciato l’avvento di un Salvatore nato da una vergine. Matteo, l’unico a narrare l’episodio dei Magi fra i vangeli canonici, vuol dimostrare che Gesù è il Salvatore nato da vergine, annunciato anche da Zarathustra e riconosciuto come tale dai magi persiani.
Sia a Paolo che agli evangelisti, canonici e apocrifi, il paradosso dell’incarnazione di un Dio appare fondamentale: perché se Dio può nascere da una donna, allora in ogni nato di donna è presente Dio. Ogni nato di donna può diventare Dio, fondendosi in Lui.
« E il Signore non avrebbe detto: -Mio Padre che è nei cieli- se non avesse avuto un altro padre, ma avrebbe detto semplicemente: -Mio Padre. »
Dal Vangelo di Filippo.
nato da donna, non da uomo