Il 26 settembre l’Accademia delle Arti del Disegno ha organizzato una giornata interdisciplinare di studi sui centri storici di Toscana, con particolare attenzione a quello di Firenze ed ai problemi legati ai flussi turistici: “I centri storici di Toscana: musei per turisti o città da abitare?”. Interverranno rappresentanti degli ordini professionali, amministratori, docenti universitari, giuristi, con moderatore Paolo Ermini direttore de Il Corriere Fiorentino. L’evento coincide significativamente con la riunione che si terrà a Bruxelles fra le principali città d’arte interessate dal fenomeno degli affitti turistici. Per il comune di Firenze vi parteciperà l’assessore Del Re, la quale si collegherà con noi in videoconferenza.
L’attenzione ai problemi dei centri storici, ed in particolare a quello di Firenze, è nella nostra Accademia costante. Quattro giornate di studio su “I fiorentini e il centro storico: una città senza residenti?” si sono svolte dal 23 al 29 maggio 2018. L’11 e 12 aprile di quest’anno, insieme con l’ordine degli Architetti e quello degli Ingegneri di Firenze abbiamo organizzato un corso su “Firenze, il centro storico Patrimonio Mondiale UNESCO. Conoscenza Tutela Progettazione”.
Ma il convegno si svolgerà anche nell’imminenza della seduta del TAR Toscana, chiamato a pronunciarsi nuovamente sul ricorso di Italia Nostra contro la variante urbanistica del comune di Firenze relativa agli interventi nei tessuti storici, variante che come è noto un’ordinanza del Consiglio di Stato ha sospeso, bloccando di fatto ogni significativa attività di recupero edilizio nel cuore della città.
La discussione verterà dunque sul ruolo e sulla vocazione dei nostri centri storici, sulle politiche da mettere in atto per raggiungere un corretto equilibrio fra turismo ed abitazione permanente. I centri storici delle città d’arte sempre più assumono infatti l’aspetto di musei a cielo aperto, nei quali un numero sempre maggiore di attività economiche viene finalizzata alla fruizione turistica. Estese pedonalizzazioni, eccessiva diffusione di locali di ristorazione, abitazioni che vengono destinate al turismo, politiche di tutela di per sé lodevoli che tuttavia spesso impediscono l’adeguamento funzionale degli edifici antichi, portano ad un crescente depauperamento di abitanti residenti e di attività artigianali tradizionali.
Intendiamoci: il turismo è una componente essenziale e fondamentale dell’economia toscana ed italiana e non può essere demonizzato o disincentivato, si dovrà piuttosto pensare ad una regolamentazione che ne garantisca il giusto equilibrio con una città che deve vivere. Ai turisti dobbiamo offrire servizi: nel centro di Firenze pochissime sono le panchine su cui sedersi, inesistenti i servizi igienici pubblici, scarse le informazioni e la sicurezza. L’impossibilità per i turisti di accedere ai cassonetti per l’indifferenziato comporta abbandoni d’immondizia inaccettabili per le strade. E questi sono solo alcuni degli aspetti.
Dobbiamo essere consapevoli che l’abitazione permanente è il presidio imprescindibile di un centro storico e che l’artigianato tradizionale ne rappresenta una componente essenziale della cultura e dell’immagine. L’obiettivo di un’amministrazione deve essere dunque il conseguimento di un’efficace sintesi tra le esigenze degli operatori turistici e quelle di chi il centro lo abita e lo vive quotidianamente.
Spesso le politiche che vengono adottate risultano contraddittorie. In molti casi per disincentivare l’uso delle abitazioni a fini turistici e favorire dunque la residenza permanente, si pongono limiti ai frazionamenti delle unità immobiliari. Ma i dati dimostrano che nei centri storici una parte consistente degli abitanti è costituita da single: in quello di Firenze nel 2011 quasi il 60% delle famiglie risultava già composta da una sola persona. Le estese pedonalizzazioni, le difficoltà di accesso veicolare, rendono infatti il centro antico difficile da abitare per le famiglie con figli. Se vogliamo mantenere una residenza stabile dobbiamo dunque prendere atto che sono necessarie abitazioni per single, siano essi giovani o anziani, o per coppie, ossia di piccole dimensioni. Di conseguenza una politica che disincentiva i frazionamenti rischia di contribuire allo spopolamento di abitanti permanenti o ad accettare solo quelli particolarmente facoltosi, spesso stranieri, in grado di acquistare e mantenere una casa vasta, ottenendo così proprio l’effetto opposto a quello cercato. La leva da usare appare piuttosto quella fiscale, unica in grado di indirizzare efficacemente le scelte degli operatori, tassando gli affitti turistici e detassando l’abitazione permanente. Nello stesso tempo interventi di recupero e di cambio di destinazione di complessi dismessi per edilizia sociale, come quello fiorentino delle Murate, sono auspicabili e vanno incrementati ove tipologicamente fattibili.
Le politiche di tutela devono essere accompagnate da una progettazione che consenta non solo l’adeguamento degli edifici alle norme igieniche, antisismiche ed alle funzioni di una società profondamente diversa da quella dei decenni scorsi, ma anche l’inserimento ragionato di nuova architettura ove compatibile: mi riferisco anche alla pensilina di Isozaki per l’uscita degli Uffizi. Le destinazioni e gli usi degli edifici devono poter mutare per adeguarsi ad una società profondamente diversa. E’ impensabile che edifici monumentali, nati come ricche residenze nobiliari, debbano rimanere abitazioni per un classe che non esiste più. Così come si sta ponendo il problema delle banche le quali accorpano sedi e filiali lasciando liberi immobili che, considerata la loro tipologia e la loro destinazione, saranno spesso destinati a rimanere inutilizzati se non potranno essere oggetto di interventi di ristrutturazione e non di solo restauro.
A questo proposito si pone la questione dell’ordinanza del Consiglio di Stato e degli orientamenti giurisprudenziali, per i quali con un intervento di restauro non è più consentito frazionare né cambiare l’uso di un immobile. Eppure il testo unico dell’edilizia, legge dello stato, sembrava parlar chiaro, definendo il restauro come rivolto “a conservare l’organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell’organismo stesso, ne consentano anche il mutamento delle destinazioni d’uso purché con tali elementi compatibili”. Forse un nuovo intervento legislativo per fare definitivamente chiarezza sarebbe opportuno.
In conclusione mi piace ricordare quanto scriveva nel 1949 Ranuccio Bianchi Bandinelli: “Noi italiani ci rifiutiamo di non essere altro che i custodi di un museo, i guardiani di una mummia, e rivendichiamo il diritto di vivere entro città vive, entro città che seguono l’evolversi della nostra vita, le vicende della nostra storia, elevate o misere che esse siano, purché sincere”. Queste parole sono a mio vedere ancora attuali.