“Vergine Madre, figlia del Tuo figlio,
umile e alta più che creatura,
termine fisso d’etterno consiglio,
tu se’ colei che l’umana natura
nobilitasti sì, che ‘l suo fattore
non disdegnò di farsi sua fattura.
Nel ventre tuo si raccese l’amore,
per lo cui caldo ne l’etterna pace
così è germinato questo fiore.
Qui se’ a noi meridiana face
di caritate, e giuso, intra i mortali,
se’ di speranza fontana vivace.
Donna, se’ tanto grande e tanto vali,
che qual vuol grazia e a te non ricorre,
sua disianza vuol volar sanz’ali.
La tua benignità non pur soccorre
a chi domanda, ma molte fiate
liberamente al dimandar precorre.
In te misericordia, in te pietate,
in te magnificenza, in te s’aduna
quantunque in creatura è di bontate”.
(Par. XXXIII, 1- 21)
Dante ha colto il paradosso sublime della figura di Maria, la Madre di Dio. Ella è l’unione dei contrari: la figlia del suo figlio, la più umile ma allo stesso tempo la più alta fra le creature, l’inamovibile culmine temporale di un Pensiero atemporale. Ella è la coincidentia oppositorum, il luogo soprannaturale nel quale gli opposti si fondono, la materia e lo spirito si sposano, il cielo e la terra si congiungono, il tempo e l’eternità si saldano. Ella sconfigge il divisore, il diavolo, che di fronte a Lei perde il suo potere. Fuori del tempo, eppure nel tempo, fuori dello spazio, eppure nello spazio, nell’oscurità feconda di una grotta spirituale, Maria Anima genera il Figlio dell’Uomo, di fronte al quale le divisioni e le limitazioni dello spazio tempo si sgretolano, nel Nome del quale ogni ginocchio si piega, in Cielo, sulla terra e nell’inferno.