RenzoManetti

Il nuovo abate di San Miniato al Monte, monastero olivetano

E’ stato un giorno 13, il 13 dicembre 2015, di domenica, che Bernardo Maria Gianni è diventato, in una cerimonia solenne di fronte all’arcivescovo di Firenze, abate del monastero di San Miniato al Monte. L’antica basilica era gremita, con la folla che si accalcava anche nel piazzale e nella cripta, segno dell’affetto e della stima che circondano il nuovo abate. C’era mio figlio Giovanni in mezzo a quella folla, ma non c’ero io che non sono riuscito a parcheggiare, perché una squadra di polizia urbana impediva la sosta: “Ordine del Questore e del Comandante dei Vigili”, mi dissero quasi scusandosi: “Aspettiamo tremila persone…”.

Ma sono tornato alla prima messa domenicale di Bernardo e poi dopo ancora. E’ stata un’emozione tenera e delicata vedere incedere per la navata marmorea quel giovane monaco, quasi curvo sotto il peso della tiara bicefala, cercando sostegno al suo passo nel solenne pastorale.

Lo ricordo, Bernardo, giovane novizio, nel quale già si scorgeva ciò che sarebbe diventato e ciò che ancora è destinato a diventare. Ricordo che l’allora abate Agostino mi diceva:”Ho pregato a lungo perché il Signore mi mandasse giovani a rinvigorire questa comunità monastica di vecchi. Ed Egli mi ha inviato queste tre colonne, su cui si rifonderà il monastero”. Lo diceva con orgoglio e riconoscenza. Le tre colonne erano Bernardo, Stefano ed Ildebrando. Il Signore aveva impresso il sigillo del Tre nella Sua Dimora, il sigillo del ritmo con cui si manifesta.

L’11 luglio del 2001 Bernardo e Stefano fecero la loro professione solenne.

Ecco dunque come la vita monastica di Bernardo si è snodata fra l’11 ed il 13: i due numeri mistici e misteriosi delle grandi apparizioni mariane di Lourdes e di Fatima. Nella dimensione del sacro non esiste il caso, ma solo il Segno. Bernardo, con Stefano ed Ildebrando, è chiamato a custodire il segreto di quella Porta Celeste che dall’alto del monte veglia sulla città, sonnolenta ed inconsapevole. Ed il Segno è di Maria, della quale Bernardo porta il nome.

Dopo la professione è venuta l’ordinazione sacerdotale. Ricordo le sue prime messe, le prime omelie, forse allora un po’ troppo intellettuali. Ma ho udito col passare degli anni quelle omelie farsi sempre più profonde, intrise di una cultura e di una fede che si abbracciano e si motivano l’un l’altra, mai banali, con riflessioni che colpiscono nel profondo. E’ l’unico sacerdote, ad esempio, dal quale ho udito ricordare che non siamo fatti solo di corpo e di anima, ma che il nostro essere è tripartito in corpo, anima e spirito. Questo gli altri sacerdoti non lo dicono perché non lo sanno o lo ritengono retaggio di un neoplatonismo pagano. E dimenticano così la prima lettera ai Tessalonicesi dove San Paolo afferma la stessa cosa (I Tess.5,23, i numeri dello Spirito). Ma questo è per loro incomprensibile e lo rimuovono. Cosicché quando in un’omelia ho ascoltato Bernardo riaffermare quella profonda verità esoterica, alla quale io credo fermamente e di cui ho scritto più volte, sono rimasto scosso ed ho annuito con forza. C’era accanto a me Giovanni che sorrideva a quella manifestazione un po’ puerile di entusiasmo. No, le omelie di Bernardo non sono banali, arrivano al profondo della fede. E’ sembrato così un fatto naturale vederlo diventare prima priore e poi abate di quel monastero che, come egli ha ricordato più volte, è una porta celeste.

San Miniato al Monte non è infatti un posto qualunque: è un luogo sottile, dove si concentra un’energia profonda che allenta le barriere fra la dimensione della materia e quella dello Spirito. Per una grazia celeste, San Miniato è uno di quegli ombelichi della terra nei quali la materia si spiritualizza e lo spirito si materializza. Questa trasmutazione è avvertibile, come una vibrazione sottile che riconduce corpo e mente a quella sonorità che, un giorno che non fu giorno, un tempo che non fu tempo, eruppe dallo Spirito diventando cosmo. E’ questa una vibrazione armonica, la chiave dell’amore che altro non è se non l’energia misteriosa che lega i corpi e le anime.

Ci sono luoghi dove questa vibrazione appare più forte e permea il suolo, la roccia, l’aria facendole risuonare dolcemente. In essi l’arte spirituale dei nostri padri seppe costruire edifici di pietra, che funzionassero come casse armoniche per questa musica sottile, esaltandone la vibrazione modulata che si irradia all’unisono e ad un tempo nello spirito e nella materia. Quegli edifici sacri rispettavano le regole armoniche che i sapienti riconoscevano impresse nel cosmo, tanto da diventare essi stessi un modello dell’universo, un modello dell’anima. Il cosmo e l’anima si somigliano infatti, entrambi plasmati dalla stessa vibrazione musicale che è l’impronta del Creatore. Musica ed Architettura sono sorelle, se composte con i rapporti che sono alla base degli accordi, dei toni, dei ritmi dell’infinitamente grande e dell’infinitamente piccolo. Ed è proprio nei paradossi dell’infinitamente piccolo, che la scienza pare aver raggiunto il confine sottile fra le dimensioni del tempo e dell’eternità. Così non meraviglia come sulla porta orientale della facciata della basilica i nostri padri incidessero la frase: “Haec est Porta Coeli”,”Questa è la Porta del Cielo”. Non fu iscritta sulla porta centrale ma su quella laterale, perché l’accesso al cielo non è trionfale ma dimesso, perché l’Eterno non si manifestò con la tempesta ma con la brezza sottile.

I monaci bianchi sono chiamati a custodire questa Porta, riflesso di eternità per tutta la città, visione marmorea nella quale sono impresse le armonie spirituali del Paradiso. Un Paradiso che non è al di là della vita, ma nel profondo di essa, in quel ricettacolo dove la vibrazione dello spirito lega il corpo con l’anima,il tempo con l’eternità, dove si apre la porta per la dimensione che non conosce il tempo e che il tempo, con la sua illusione, sa solo velare ai nostri occhi corporei.

E’ questo dunque il mio  grato saluto al nuovo abate, all’amico Bernardo ed ai suoi monaci bianchi, a Stefano ed Ildebrando che, con i loro giovani confratelli, come i cavalieri del Graal, custodiscono e ci additano la Porta del Cielo. Quella Porta di cui è Segno Maria,la signora di Lourdes e di Fatima, la Ianua Coeli, attraverso la quale il mistero del Verbo creatore attraversò la soglia del tempo. Come spiegava Proclo di Costantinopoli nel V secolo: “L’Emmanuele come uomo aprì le porte della natura; come Dio non spezzò i sigilli della verginità… Come dice il profeta Ezechiele: Mi fece voltare il Signore verso la porta esterna del santuario che guarda a oriente: essa era chiusa. E il Signore mi disse: Figlio dell’uomo, questa porta resterà chiusa, non verrà aperta. Nessuno passi per essa, ma solo il Signore Dio di Israele. Egli entrerà ed uscirà e la porta resterà chiusa. Ecco, abbiamo mostrato Maria, la santa Madre di Dio”.

Come nel Gesù storico,in ciascuno di noi si racchiude un Cristo, un Figlio di Dio a cui è stata data la capacità di attraversare la porta nei due sensi: “primizia Cristo,poi quelli che sono di Cristo” (I Cor.23). Ma questo dono il più delle volte lo ignoriamo ed è solo un profondo Desiderium Sapientiae, un’intensa nostalgia della Sapienza da cui proveniamo, che può spingerci a ritrovarlo là dove è sempre stato, nascosto a sensi inconsapevoli.

 

 

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