L’11 dicembre di quest’anno 2009 ho ricevuto l’investitura nel Priorato del Tempio Hierosolimitano di Mik’ael, un ordine cavalleresco che si ispira idealmente all’ordine dei Poveri Cavalieri di Cristo, i Templari.
La cerimonia è avvenuta nella penombra della chiesa gotica, inglobata all’interno della Certosa di Firenze, gli occhi rivolti verso l’abside orientata canonicamente ad est.
Quando, il ginocchio sinistro chinato sul pavimento freddo, come in una triplice benedizione la lama lucente della spada mi è stata appoggiata sulle spalle e sulla testa, non nascondo di esser rimasto emozionato. Non lo avrei creduto, perché abitualmente rimango scettico e disincantato, di fronte a gestualità o a ritualità di questo genere. Forse l’acciaio sottile della spada vibra davvero di un’energia sconosciuta che si trasmette a tutto il tuo essere.
Ma cosa significa per me entrare in un’istituzione post templare? Ricevere un mantello bianco, un’onoreficenza di simpatica bigiotteria, un titolo che nessuno riconosce? Se fosse così, credetemi, non ne varrebbe la pena. Per me significa molto di più: riproporre cioè nel XXI secolo valori e princìpi che i Templari adottarono nove secoli fa e perseguirono in silenzio per quasi due secoli di storia. Furono proprio quei princìpi che provocarono la spietata aggressione al loro ordine e ne decretarono la scomparsa violenta, all’inizio del XIV secolo.
Nove secoli fa fu fondato il Tempio, verso il 1119, e tutta la sua storia fu scandita dal numero Nove: nel 1128 (nove anni dopo) ricevettero la regola nel Concilio di Troyes, nove furono i cavalieri iniziali…Il Nove è un numero mistico e sapienziale che i Templari associarono intenzionalmente alla loro vicenda. E coincidenza vuole che anche l’anno del rogo del Gran Maestro, il 1314, sia riconducibile al Nove, che è la somma delle sue cifre. Questo nono secolo dalla fondazione assume pertanto un valore particolare.
Cinque sono i valori che ho scorto nell’istituzione che mi ha accolto ed ai quali a mio parere dovrebbe improntare l’attività e la vita chiunque si ispiri al Tempio, non per gioco o curiosità ma per vera idealità.
1. La fedeltà alla Chiesa.
I Templari erano soggetti solo al papa, non ai vescovi né al potere temporale. Questa fu la causa prima della loro rovina. Non si difesero perché in un papa sperarono fino all’ultimo. Ne furono traditi e abbandonati. Morirono da eroi, accusando un papa ma non la Chiesa, che il loro sacrificio salvò da un pericoloso scisma.
2. Porre la spada al servizio della Cristianità.
Oggi l’arma di cui devono servirsi i nuovi cavalieri non è la spada, ma la Parola. Scritta, declamata, diffusa nella rete, non c’è arma più potente né più tagliente. Di questa despoti e tiranni hanno timore, non delle pistole e dei fucili. Leviamo la nostra parola in difesa dei valori cristiani, sui quali si è costruita tutta la civiltà occidentale.
3. Indirizzare se stessi verso la Sapienza,
per esplorare in libertà e retta coscienza il mondo dello Spirito. Non come atto di vanità, ma come necessario cammino interiore, per rinvenire nel profondo di sé la vera cavalleria spirituale. Siano da guida le parole di Dante: “Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza” (Inf.XXVI,118-120) Conoscenza e virtù non sono separabili, la strada della sapienza è una strada di perfezionamento della persona nella sua totalità.
4. Essere fra loro solidali.
La forza di una compagine si misura sulla solidarietà e sul mutuo soccorso fra i suoi membri. Dove non c’è solidarietà le battaglie sono perse in partenza.
5. Dai quattro obiettivi precedenti, in modo solo apparentemente paradossale, scaturisce il quinto, forse il più nobile: favorire il dialogo fra le culture e le religioni.
Il dialogo non deriva da volontà di sincretismo o di relativismo, ma dal sincero rispetto degli altri cammini, consapevoli che l’Altissimo ogni giorno fa sorgere il sole su tutti i suoi figli con lo stesso amore.
I Templari combatterono per la Cristianità ma, come dimostrano i racconti di parte musulmana, nel rispetto delle altre fedi. Il dialogo culturale con l’Islam fu vivo e di molta sapienza furono debitori ai loro interlocutori.
I Templari si rifiutarono di levare le armi contro altri cristiani e non parteciparono alla sanguinaria crociata contro l’eresia catara. Anche nei confronti dei Catari furono probabilmente debitori di conoscenza e questo favorì l’accusa che li portò alla fine. Oggi come allora i nuovi cavalieri del Tempio devono essere i promotori di dialogo, combattendo contro ogni fondamentalismo ed integralismo, da qualunque parte provenga.