La questione della ristrutturazione dello stadio Artemio Franchi di Firenze, vincolato dal Ministero dei Beni Culturali come capolavoro dell’architettura razionalista italiana, non è un semplice fatto di attualità, ma riguarda il concetto stesso della tutela e della salvaguardia del patrimonio storico artistico italiano, quello che tutto il mondo ci invidia che attrae visitatori da ogni parte.
Per consentire una ristrutturazione che la Soprintendenza non può accettare si è inserito nel decreto semplificazioni, ora legge 120/2020, un emendamento per superarne il parere.
Questo emendamento costituisce un precedente inaccettabile e cioè che si faccia una legge ad hoc finalizzata a superare i vincoli di legge per un singolo caso ed introduce un concetto estremamente pericoloso e cioè quello che l’architettura monumentale, testimonianza di arte e storia e perciò vincolata e soggetta al nulla osta obbligatorio della Soprintendenza, ove ancora utilizzata possa essere stravolta per adeguarla alle esigenze contemporanee. Per ora tutto questo viene limitato agli stadi ma, una volta introdotto il principio, un po’ per volta potrà essere esteso.
L’emendamento consente infatti di ristrutturare un monumento di arte storia, come lo stadio progettato nel 1931 da Pier Luigi Nervi, caposaldo del razionalismo architettonico italiano e come tale inserito nei testi di storia dell’arte e dell’architettura di tutto il mondo. Fin qui ancora poco male, se non che la ristrutturazione potrà non rispettare l’edificio nella sua organicità e nella sua immagine, ma solo alcuni singoli elementi di esso.
Il Ministero dei Beni Culturali (e dunque il suo organo periferico cioè la Soprintendenza) dovrà entro 90 giorni individuare e specificare quali siano questi elementi e se non lo farà nei termini il vincolo verrà automaticamente tolto da tutto l’edificio.
Ma non basta: poiché sono previste non meglio precisate forme di conservazione distaccata, anche questi pochi elementi potranno essere spostati e riproposti in contesti diversi da quelli originali ed addirittura con forme e dimensioni diverse: la Torre di Maratona o le scale potrebbero ad esempio venir smontate e rimontate in un giardino pubblico. E che significa il fatto che potranno esserlo anche con forme diverse? E con dimensioni diverse? Se si tratta di elementi che il Ministero ha individuato come da tutelare, forme e dimensioni non possono cambiare, come non è pensabile pensare di smontarli e rimontarli altrove, perché avulsi dallo stadio non avrebbero più valore.
Dove sta allora la tutela?
Mi domando chi abbia scritto un emendamento così illogico, grossolano e ignorante.
Tutto questo contraddice non solo ogni teoria e prassi di tutela dei beni culturali internazionalmente riconosciute almeno da un secolo e mezzo; ma soprattutto si colloca in aperto contrasto con l’art. 9 della Costituzione, che esplicitamente protegge il patrimonio storico e artistico della Nazione. Un emendamento dunque al di fuori non solo di ogni buona pratica, ma di ogni logica che non sia quella di una proclamata volontà di eliminare il vincolo e di stravolgere un monumento a cui non si dà valore.
Non si riesce ad accettare il concetto che un capolavoro sia tale a prescindere dalla sua età: il valore artistico e culturale non si misura infatti con gli anni. A Firenze i viali del Poggi, la stazione di Michelucci, lo stadio di Nervi non hanno infatti valore diverso da quello ad esempio di Palazzo Vecchio. Ma nessuno si sognerebbe di spostare la torre di Arnolfo anche se il monumento è sede del comune e dunque di uffici di utilizzo costante.
Non è ammissibile che le esigenze dello spettacolo e del guadagno (e non tanto dello sport) vengano avanti a quelle della storia, della testimonianza, della tutela del patrimonio artistico e culturale dell’Italia.
Con il disastroso ed ignorante emendamento di Italia Viva, approvato da un Governo cieco e sordo alla tutela dell’immenso patrimonio artistico e storico del Paese, si introduce un precedente che potrà essere riproposto anche per altri monumenti. Oggi lo stadio e l’architettura razionalista, domani cos’altro?
Ma il ministro Franceschini dov’era?