Nel suo blog http://delvisibile.wordpress.com/, Luigi Codemo ha scritto un post sulle nuove chiese nel quale con grande acutezza scrive:”A una prima ricognizione, il panorama generale delle chiese costruite dopo il Concilio vaticano II è sconsolante: da un lato, abbiamo opere che reiterano stancamente antichi e nobili modelli e, dall’altro, opere solitamente avvitate attorno alla soggettività dell’architetto che declina per l’occasione la sua personalissima idea di sacro”. Ma quali sono le chiese che oggi reiterano stancamente vecchi modelli? Io vedo semmai il secondo tipo, cioè architetture nelle quali si proietta la soggettività dell’architetto, che nel migliore dei casi propone con enfasi la propria idea del sacro. Il problema è che spesso questi architetti l’idea del sacro non ce l’hanno nemmeno e dunque non propongono nulla se non una proiezione del proprio ego, fatta per stupire. Mi sembrano adatte le parole del Marini: “E’ del poeta il fin la maraviglia…”.Progettare una chiesa dovrebbe essere innanzitutto atto di umiltà, nel quale l’io del progettista si nasconde per accogliere l’io della comunità, per ricevere dal cielo con la preghiera l’indicazione da seguire. Non dovrebbe progettare una chiesa un architetto che non prega. Ogni chiesa è un tabernacolo, un trono per l’Altissimo: se non si ha questa certezza credo non si debba progettare una chiesa, perchè invece di aiutare l’effusione del sacro si otterrebbe l’opposto: il sacrilegio.E l’umiltà impone l’immersione nella tradizione sacra cristiana, farsi cioè espressione silenziosa e anonima di un linguaggio sacro codificato attraverso i millenni, che in simboli perenni esprime il mistero e la potenza dello Spirito. Una lingua fatta di “misura, numero e peso”, di immagini ieratiche, che permette (non metaforicamente) a chi vuole ascoltare di udire i cori delle schiere angeliche e di partecipare alla loro liturgia di lode.