In previsione del Convegno Ecclesiale Nazionale che si terrà a Firenze dal 9 al 13 novembre, con la presenza di papa Francesco, il Corriere Fiorentino ha tenuto il 10 aprile presso l’Accademia delle Arti del Disegno il confronto “Umanesimo e cristianesimo, la stessa radice?” tra padre Bernardo Gianni, priore di San Miniato, e il filosofo Sergio Givone. In una sala stracolma di ascoltatori attenti, entrambi i relatori hanno evidenziato la matrice cristiana dell’Umanesimo, il quale poneva l’uomo al centro dell’universo in quanto immagine e somiglianza di Dio anzi, con le parole di Bernardo, icona dell’icona di Dio, cioè del Cristo: “Chi vede me vede il Padre…” (Gv.14,9). Givone ha tuttavia ricordato che nel Rinascimento si sviluppò anche una componente che cancellò i valori fondanti dell’Umanesimo: per alcuni l’Uomo diventò autoreferenziale, svincolato da quel Dio che è prototipo della sua immagine, scivolando nel nichilismo della cinica lezione di Machiavelli. Questo nichilismo pervade ancora il mondo moderno e porta alle sue aberrazioni: il terrorismo, dice Givone, è frutto dell’assenza di Dio. I giovani che si uniscono alle orde dell’Isis non lo fanno per motivazioni religiose, ma per l’esatto contrario, per un cupio dissolvi, un desiderio di distruzione fine a se stesso, nel quale non c’è posto per la dignità della persona, per il riconoscimento dell’icona di Dio.
A tutto questo padre Bernardo ha aggiunto che a differenza delle altre due religioni che fondano la loro dottrina su un libro sacro, quella ebraica e quella islamica, per i Cristiani la Parola scritta dei Vangeli non assume la sua pienezza se non è incarnata in una persona, se non diventa cioè parte del nostro spirito e delle nostre azioni.
Mentre riflettevo su queste cose avevo di fronte agli occhi la grande crocifissione del Pontormo che occupa la parete centrale della sala dell’Accademia: poche figure, quattro in tutto, ai piedi della Croce del Cristo agonizzante. E notavo come queste figure vestissero abiti rinascimentali. Se ci pensate tutti i fatti della storia sacra che sono stati dipinti fra Medio Evo e Rinascimento appaiono decontestualizzati, raffigurati con personaggi che indossano vesti e si muovono in uno scenario di architetture contemporanee al pittore. E’ assai più tardi che si assiste in pittura ad una ricostruzione dell’ambiente del primo secolo dell’era cristiana. Ma questa prospettiva storica, che a noi appare corretta, conduce a collocare i fatti della storia sacra in un’epoca ed in una prospettiva lontani. L’apparente anacronismo della pittura dei secoli precedenti attualizzava invece gli avvenimenti e li poneva in un tempo senza tempo, in una dimensione che è contemporaneamente passato, presente e futuro. La crocifissione per Pontormo avviene nel suo oggi, in quell’eternità che è l’unica dimensione dello spirito. La nostra rigorosa prospettiva storica allontana il Vangelo dalla nostra esistenza, dalla nostra quotidianità. Ed è così che, collocando il Cristo in un tempo lontano, lo respingiamo da noi e dal nostro presente, scivolando inconsapevolmente nel nichilismo, nell’assenza del divino e dei valori su cui si fondava la civiltà dell’Umanesimo.
L’afflato spirituale e mistico degli Umanisti e la loro consapevolezza che lo spirito non vive nel tempo ma nell’eternità, uniti a quel potente “Ama e fa ciò che vuoi” di Sant’Agostino, portarono ad una libertà di ricerca spirituale che ha pochi eguali nella storia. Ficino parlò di una “Prisca theologia” per definire la presenza del Verbo in tutte le ere dell’uomo, prima, durante e dopo l’incarnazione del Cristo. Anche nel paganesimo gli Umanisti ritrovavano elementi della verità cristiana. Così studiarono i testi ermetici e ne trassero profondi insegnamenti. Le figure del pagano Ermete e delle Sibille furono accostate a Mosè ed ai profeti biblici e l’immagine del mitico profeta egizio fu collocata sul pavimento all’ingresso di una delle cattedrali più importanti della cristianità, quella di Siena. Sibille e profeti dell’antico testamento convivono nelle nicchie del campanile di Giotto, irrorando la città di Firenze di un’unica sapienza precristiana, una sapienza il cui fine era ricondurre l’uomo all’incontro con la sua Origine, come una sposa al talamo dello sposo.
L’”Ama e fa ciò che vuoi” condusse anche all’esplorazione dei segreti della Cabbalà ebraica, senza che la Chiesa, pur con eccezioni e discontinuità di luoghi e tempi, vi si opponesse. Firenze, con Venezia, fu uno dei centri di questa libera ricerca. Cabbalà ed Ermetismo parevano condurre ad uno stesso esito: l’estasi, l’unione dell’anima con Dio, che era il fine anche del mistico cristiano. Papa Leone X, fiorentino della casa Medici, fece tenere la prolusione di apertura del concilio lateranense all’agostiniano Egidio da Viterbo, grande cabbalista ed esoterista.
Oggi la Chiesa guarda invece con sospetto e reprime ogni tentativo di coniugare la fede con pratiche mistiche diverse, che pure hanno lo stesso fine: insegnare all’uomo come ritrovare il Dio che vive in lui. Diversi sacerdoti invitano i fedeli a star lontani perfino dallo yoga, considerato sospetto perché frutto di una diversa cultura religiosa. Anche in questo ha ragione Givone: non viviamo oggi in un’epoca di Umanesimo ma, dovunque si volga lo sguardo, di un oscurantismo spirituale che teme e rigetta ogni slancio mistico. Eppure non dispero: la freschezza di papa Francesco mi fa sperare che il vento dello Spirito stia per giungere a dissolvere i miasmi dell’intolleranza e del nichilismo.