In San Miniato al Monte abbiamo presentato il Libro “In Silenzio” di Marco Pinna (Sassari, Carlo Delfino Editore, 2018)
Questo è stato un libro difficile da presentare perché non rientra nei consueti schemi: non è un romanzo, non è un saggio. E’ un libro di mistica, ma non solo: è un percorso personale, un cammino interiore di Marco nel quale non possiamo addentrarci perché non può che essere solo suo.
Scrive tuttavia Marco: “Ho cercato pensieri e messo insieme parole, nel tentativo di offrire una possibilità, per Guardare, Ascoltare, dentro di noi e dentro la vita, secondo una prospettiva diversa. Che possa, almeno in parte, lenire il dolore del vivere, e offrire un sorriso di speranza”. I passi di quel cammino possono dunque offrire ai compagni di strada un’indicazione.
Il suo cammino si snoda su una strada che anche io mi sforzo di percorrere e sulla quale mi sento pellegrino, che dalla terra dell’esilio cerca la Via che lo riconduca a casa. Io e Marco siamo dunque pellegrini sullo stesso itinerario e in questo, come ebbi a dirgli, siamo fratelli, di una fratellanza spirituale. Solo per questo qualcosa di questo libro posso dire, guardando ad un’esperienza che ha molti tratti in comune con la sua.
Il suo racconto è scandito da citazioni sapienti, che ripropongono esperienze mistiche di chi ci ha preceduto. Brani che muovono l’anima, che risvegliano consapevolezze nascoste in noi: Meister Eckhart, San Giovanni della Croce…Eckhart è senz’altro il più citato, il grande mistico e filosofo tedesco, domenicano coevo di Dante, processato dall’Inquisizione per alcuni scritti che furono condannati dalla Chiesa.
Perché la Chiesa ha paura dei mistici? La mistica non si lascia racchiudere in formule ed in riti, ma è una salita, o meglio ancora una irta discesa, verso il trono di Dio che non può essere scorto se non nel profondo della propria intimità, nella personale consapevolezza. Una strada dunque personale e non comunitaria, ed è forse per questo che molti mistici sono stati incompresi ed addirittura perseguitati da una Chiesa, timorosa di perdere i suoi figli su strade sconosciute ed incontrollabili.
La mistica nasconde infatti pericoli perché, figlia della Gnosi, può far cadere nell’abbaglio e nell’arroganza spirituale, che è il peggior inganno di satana, il divisore.
La strada di Marco si confronta anche con la mistica e la spiritualità dell’Oriente e ne scopre le grandi analogie con la nostra tradizione occidentale. Perché la via interiore è una sola ed accomuna chi cerca l’Assoluto a qualunque cultura o religione appartenga.
Ma confronto non significa sincretismo. Marco scrive che prima di rivolgerci alle altre tradizioni dobbiamo avere conoscenza e consapevolezza della nostra, che è quanto lo stesso Dalai Lama ebbe a dire proprio nella basilica di San Miniato: “Nell’esperienza di molti, istintivamente la ricerca spirituale ha trovato uno sbocco nelle culture orientali…Cerchiamo lontano, in quella dimensione dell’altrove sempre così apparentemente stimolante e seducente, eppure abbiamo così tanto da conoscere, da scoprire, nella tradizione del nostro pensiero”.
Conoscere e trarre insegnamenti dalla spiritualità delle altre religioni non è sincretismo ed in questo è da rilevare l’opera di padre Willigis Jaeger, da alcuni definito come il più grande mistico del nostro tempo, la cui esperienza introduce nella tradizione cristiana la spiritualità e le pratiche ascetiche e mistiche dello Zen. Siamo ben lontani dal sincretismo, da una ottusa religiosità individuale New Age, fatta ad uso e consumo personale. Lo Spirito non si trova sugli scaffali dei supermercati, dai quali si prende a piacimento il prodotto che più ci attira. La pseudo religiosità New Age conduce solo alla disgregazione dei valori e della comunità che su quelli si è fondata.
La Massoneria, la cui istituzione pure stimo, ha in questo colpe quando ha trasformato un anticlericalismo sovente condivisibile in un anticattolicesimo, che in Europa ha aperto la porta non alla costruzione di una società più libera e consapevole, ma ad una resa di fronte all’integralismo.
La Massoneria insegna il metodo del Dubbio per la propria crescita interiore, ma i massoni spesso lo lo lasciano scivolare verso un nichilismo ed agnosticismo, che sono altra cosa. Ma il metodo è giusto in sé. Non dobbiamo infatti temere il Dubbio, perché il vero nemico dello Spirito è l’abitudine ed il cullarsi in certezze acritiche, come scrive Marco citando Eraclito: “L’abitudine è il demone dell’uomo”; e prosegue: “Ci radichiamo così profondamente in determinate convinzioni da chiudere la porta ad ogni possibile dubbio, magari anche a un solo e semplice interrogativo. Non cerchiamo di metterci in discussione, quasi che ciò fosse espressione di una debolezza, di una inadeguatezza del nostro essere e pensare, senza riuscire a cogliere che, invece, è esattamente l’opposto”. Il confronto con le altre culture e soprattutto con noi stessi, che il Dubbio suscita, è l’unico metodo per una vera religiosità. La fede non può darsi mai per scontata, va riconquistata giorno per giorno, come cosa sempre nuova. Il Dubbio costringe a mettersi in discussione per ritrovarsi e maturare un cammino di fede sempre nuovo e consapevole. Non chiediamo a Dio di allontanare da noi il Dubbio, perché esso non viene da satana. Il Dubbio è la prova che affina e forgia la nostra anima.
Il confronto con il Dubbio esige il Silenzio.
La nostra società è troppo prodiga di parole, così piena di un rumore semantico che si trasforma in un vuoto assordante. In questo vuoto la voce dello Spirito non si ode. Le leggi dell’entropia sono chiare: la troppa informazione equivale a nessuna informazione. Troppo comunicazione, troppe parole, equivalgono all’assenza di significato. La nostra società piena di parole ha perso il rispetto per la sacralità della Parola.
Ecco allora la necessità del Silenzio.
C’è a questo riguardo un bel racconto Zen: “Nan-in, un maestro giapponese dell’era Meiji (1868-1912), ricevette la visita di un professore universitario che era andato da lui per interrogarlo sullo Zen. Nan-in servì il tè. Colmò la tazza del suo ospite, e poi continuò a versare.
Il professore guardò il tè traboccare, poi non riuscì più a contenersi. “E’ ricolma. Non ce n’entra più!”
“”Come questa tazza” disse Nan-in “tu sei ricolmo delle tue opinioni e congetture. Come posso spiegarti lo Zen, se prima non vuoti la tazza?”.
Siamo noi un vaso che deve vuotarsi per essere riempito. Questo vaso è rappresentato nelle tarsie delle nostre chiese romaniche. Questo vaso deve svuotarsi per diventare un Graal. Solo allora potrà accostarsi alla fonte perenne dell’acqua della vita, la stessa che Gesù indicò alla samaritana. Solo allora ne sarà presto ricolmo.
E’ dal Silenzio, che è innanzitutto silenzio di passioni, emozioni, pensieri, preoccupazioni, ambizioni, che potrà scaturire in noi la Parola. In tutta la sua preziosa sacralità, come ha ricordato l’abate Bernardo nella sua presentazione del libro, citando Mario Luzi: “Quanto è difficile preservare alla parola questa potenza creatrice, potenza che è in rapporto con il versetto giovanneo: in principio era il Verbo. La potenza che è stata messa nell’uomo deriva direttamente dal divino: quanto è difficile preservare quell’energia, quella forza della parola che la racchiude, quando è appunto al più alto grado di purezza e innocenza”.
La Parola che nasce nel Silenzio è la stessa che generò la Creazione. E’ il Logos di Giovanni evangelista. Facciamo nascere da noi il Bambino, che giace da sempre nel profondo del nostro essere, perché diventiamo con Lui una sola cosa, come ricordano le parole dell’Imitazione di Cristo: “Io sono colui al quale devi darti interamente, così che tu non viva più in te, ma in me, fuori da ogni affanno”. Parole che sono analoghe a quelle dell’iscrizione che apre il pavimento marmoreo della basilica di San Miniato al Monte: “Ergo rogo Christum quod sempre vivat in ipsum”. Solo così si comprende il resto della frase: “Rètinent de tempore et morte”.
La Parola veicola il Pensiero nella materia. Il Nous si manifesta nel Logos.
Siamo onde di energia che vibrano nel cosmo e la vibrazione della Parola, che scaturisce dall’anima nel Silenzio, diventa preghiera capace di piegare le stesse apparenti leggi della natura, di sconfiggere la morte, di lasciar irrompere l’eternità.
Così, lo ricordava La Pira, la preghiera dei chiostri può cambiare il mondo, influire sugli avvenimenti e sulle coscienze, perché si diffonde in quell’etere, in quella quintessenza spirituale ed invisibile alla quale tutti noi apparteniamo e dalla quale emergiamo come onde dal mare.
Ma l’onda è il mare.
La preghiera muove il mare dello Spirito e le onde che vi appartengono.
Tutta la materia è anch’essa pervasa dallo Spirito, ad esso sottoposta .
La preghiera che diventa Parola sacra ha una potenza infinita.
Per questo una preghiera va recitata a voce alta ed il suono delle parole deve vibrare in noi e nell’aria che ci circonda, come un mantra. Allora la parola prenderà vita e salirà come angelo verso il trono dell’Altissimo.
L’esicasmo, antica pratica mistica dei monaci d’oriente, associa l’emissione della parola al respiro. Così dobbiamo fare con la preghiera più efficace che la nostra mistica conosca: l’Ave Maria. Inspiriamo all’Ave, espiriamo insieme con le parole, sospendiamo il respiro alla pronuncia del nome di Gesù, perché quel nome è al fuori del tempo e dello spazio, inspiriamo nuovamente pronunciando il Santa Maria che apre la seconda parte ed espiriamo emettendo i suoni sacri, fino all’Amen finale. Il Rosario è un’arma potente.
La pronuncia del Nome è la più alta delle preghiere, perché nel nome si racchiude l’essenza, così delle cose, come delle persone, come di Dio.
Per questo il monaco china il capo quando pronuncia il nome di Gesù, quel Nome al cui cospetto ogni ginocchio si piega in Cielo sulla Terra e nell’Inferno. E qualunque cosa chiederemo nel Nome la otterremo.
Concludiamo con la straordinaria potenza di una preghiera antica, quella che conclude il Poimandres, testo ermetico di una mistica straordinaria:“Accogli la pura offerta sacrificale della parola, che viene da un’anima e da un cuore protesi verso di te, tu, ineffabile, tu, il cui nome è pronunziato solo dal silenzio”.
La Parola prende vita, come offerta sacrificale che sostituisce agnelli, tori, colombe; il Nome divino si pronuncia solo dal Silenzio.