Su il Corriere della Sera del 7 marzo 2009, edizione fiorentina,l’architetto David Fisher dice:“La Firenze di oggi vive ancora delle memorie del suo glorioso passato. Non c’è dubbio che abbiamo un patrimonio preziosissimo, unico al mondo,ma proprio per questo dovremmo valorizzare il presente e, detto ciò, guardare al futuro… Se non si riesce ad inventare niente per portare “business” a Firenze, trasformandola in una città degna del terzo millennio, che si sfrutti la nostra immagine nel mondo, la nostra ricchezza storica, per portare ricchezza ed autonomia economica a Firenze”.
Firenze deve raccogliere la sfida del terzo millennio e valorizzare le proprie risorse, uscendo da un immobilismo sonnolento, che da troppi anni la sta facendo scivolare in un isolamento forse dorato ma certo provinciale e falsamente aristocratico. Il timore di cambiare lo stato di fatto impedisce la realizzazione di infrastrutture essenziali per lo sviluppo e, quando anche qualcosa si realizza, ci si fa condizionare dal gioco degli equilibri politici locali e delle lobbies economiche forti. Il caso della tramvia è eclatante, perché si è voluto dare la precedenza alla linea per Scandicci che serve a pochi e sarà un debito permanente per il comune, lasciando indietro l’unica che veramente funziona, quella fra il centro storico e il settore nord ovest dove la città sta decentrando il meglio di sé. Ma anche su questa si preferisce insistere su un violento ed inutile attraversamento del centro, in cui nessuno più crede, invece di impiegare più razionalmente quelle risorse per proseguirla verso Sesto ed il polo universitario.
Mi spiego. La città si sta sviluppando sulla direttrice nord ovest, verso l’area metropolitana, secondo linee che già Edoardo Detti aveva individuato nel suo Piano regolatore del 1967. Gli uffici pubblici e privati lasciano il centro storico per l’area di Novoli, più vicina alle infrastrutture viarie e proiettata all’esterno della città. Da Novoli a Castello a Sesto la nuova Firenze si sta riaggregando attorno a nuovi poli. Detti aveva progettato un’infrastruttura viaria, il cosiddetto “asse attrezzato”, che innervasse e servisse questa serie di nuovi centri direzionali. I centri si sono in parte già fatti, ma l’infrastruttura no. La linea due della tramvia può assolvere oggi al ruolo che Detti aveva attribuito al suo asse viario, come spina dorsale di tutto il sistema lineare. Per questo doveva essere realizzata per prima, come elemento di comunicazione moderno ed indispensabile fra i nuovi centri direzionali ed universitari ed il centro storico. Invece per ragioni politiche si è partiti dalla linea uno, quella di Scandicci, sostanzialmente inutile e dalla gestione troppo onerosa per le casse comunali. Non dimentichiamo che il comune si è impegnato a pagare di tasca propria l’equivalente dei biglietti di sette milioni di passeggeri, a fronte del più realistico milione e mezzo trasportato oggi dagli autobus. Altrimenti i privati la linea uno non l’avrebbero fatta, perché antieconomica. La linea due era invece ed è tuttora necessaria e sicuramente attrattrice di passeggeri. Per questo va fatta, ma non c’è alcun bisogno che attraversi il centro storico, basta fermarla a Santa Maria Novella. Bisogna semmai pensare ad estenderla a ovest, verso Sesto ed il polo universitario. Il centro storico va servito con bussini elettrici e con people movers, non con un treno che sfiora il battistero e fa fatica a curvare in piazza Duomo. Quanto poi a girare con i binari attorno a piazza della Libertà per farla tornare indietro, il Signore ce ne scampi, perché sarebbe la paralisi del traffico cittadino. Si, perché tutti gli studi dimostrano che la tramvia ridurrà in modo risibile il traffico veicolare ed anzi ne aggraverà la congestione perché toglierà sedi stradali importanti. Quanto alla linea tre, destinata ad attraversare un tessuto delicato e compatto, meglio soprassedere: sospendiamone l’attuazione in attesa di capire come funzionerà la linea uno e riprogettiamola di conseguenza.
L’aeroporto di Firenze sta progettando una nuova aerostazione per consentirle di ospitare il doppio dei passeggeri attuali. Ma viene bloccato sulla realizzazione di una nuova pista, senza la quale quei passeggeri resteranno sulla carta. Ancora una volta ragioni politiche: Sesto non vuole. Lo stadio di calcio quello si, lo vorrebbero, ma la pista no,perché l’aeroporto è di Firenze e non di Sesto. Come se i sestesi non lo utilizzassero. I collegamenti ferroviari con l’aeroporto di Pisa sono tremendi: basta guardare gli orari delle Ferrovie per rendersi conto che da Santa Maria Novella all’aeroporto Galilei non si impiega meno di un’ora e mezzo. Tanto vale andare a Bologna, che è più efficiente.
E che dire di una circonvallazione urbana, della quale si parla da decennio senza mai riuscire a farla? E’ assurdo che chi vuole spostarsi da una parte all’altra della città o del suo hinterland debba attraversare il centro lungo i viali ottocenteschi. Le alternative non ci sono, salvo improponibili ma assediate stradine collinari, sulle quali per disperazione si riversa un flusso di veicoli intollerabile. E questa sarebbe la tutela delle colline? E questa sarebbe la tutela di un patrimonio storico come i viali del Poggi, elegante passeggiata di una città giardino che dall’utopia si trasformò in realtà? Oggi devastata ed offesa da un traffico veicolare che non ha alternative. La proposta sensata di declassare l’autostrada e di fare la bretella Barberino Incisa fu bocciata, per motivi solo politici, e si preferì aggiungere una terza corsia al laccio autostradale che circonda Firenze. Abbandonando così le colline fiorentine, un patrimonio ambientale che il mondo ci invidia, alla devastazione di cantieri senza fine, ma togliendo anche al Mugello la possibilità di un collegamento stradale decente con l’alto Valdarno, che avviene oggi attraversando curva dietro curva un’interminabile sequenza di paesi e paesini.
Se Firenze intende uscire dal passato e proiettarsi nel futuro, non può rinunciare a costruire infrastrutture di cui ha bisogno da decenni. Che non sono solo quelle per la mobilità, l’aeroporto, una nuova viabilità esterna che eviti l’attraversamento del centro, ma anche quelle di promozione del settore produttivo: un’area espositiva adeguata, un centro congressi moderno che raddoppi la capacità di quello attuale, consentendo alla città di rientrare nel giro dei congressi internazionali. Ma anche cose piccole, eppure tanto importanti, come dotare il centro storico di servizi igienici pubblici, evitando ai turisti ed ai cittadini la vergogna di usufruire di quelli privati dei bar e dei centri commerciali. Questo è quanto il sistema produttivo richiede con insistenza, da anni, ad una classe politica inconcludente e sorda ad esigenze che non siano quelle della propria sopravvivenza.
Eppure Firenze non ha bisogno solo di infrastrutture e servizi, ma anche e soprattutto di rilanciare la propria immagine nel mondo, di valorizzare il patrimonio unico che le è stato tramandato dal passato. Un patrimonio che è fatto di monumenti e di dipinti, di statue e di libri, ma anche di idee. In un passato recente, eppure già così lontano, Firenze fu un riferimento internazionale per i costruttori di pace. Un sindaco ispirato, Giorgio La Pira, ne fece un faro per gli oppressi, un luogo di dialogo fra popoli in lotta e fra le religioni. Poi tutto è svanito nel nulla e la città si è rinchiusa in un sonnolento silenzio. Quella stagione può e deve essere rilanciata.
Parlando con me e qualche altro amico, Gianni Conti, ha esposto un’idea. Dobbiamo realizzare, ci ha detto, una Casa per i diritti e le libertà dell’uomo, che sia un centro di incontro e di dialogo fra i popoli e le nazioni. Dovrà essere un monumento, ha proseguito, sul cui progetto chiamare a confrontarsi i migliori architetti del mondo e nel quale ospitare una nuova tribuna per il David di Michelangelo, l’opera simbolo della lotta per la libertà da ogni oppressione e da ogni aggressione. L’antico ed il moderno si amalgameranno in questa nuova struttura, che potrebbe essere realizzata nel Parterre di piazza della Libertà.
Lì per lì sono rimasto ad ascoltarlo perplesso poi, a poco a poco nei giorni successivi, quell’idea ha continuato a rimbalzare nei miei pensieri, a prendere consistenza, finendo per affascinarmi. Ora la vedo sempre più nitida di fronte agli occhi. Il Parterre, oggi ridotto ad un banale luogo per giostrine e burocrati, un tempo era l’ingresso aulico della città sulla strada che arrivava dall’Europa. Un granduca illuminato vi costruì una nuova porta di fronte a quella dugentesca, un arco di trionfo che esaltava la volontà di spalancare una Firenze già provinciale verso il palcoscenico del mondo intero.
Ho iniziato allora ad immaginare questa Casa dei diritti dell’uomo elevarsi sopra la piazza, come quella Terza Porta di cui ebbe idea anni fa un architetto famoso, Leonardo Ricci. Vedo un’architettura moderna e dall’immagine forte dialogare con le vestigia del passato, dal giardino ottocentesco, all’arco trionfale del secolo dei lumi, alla porta dell’epoca di Dante, offrendo al mondo il volto di una città proiettata verso il futuro ma ancorata ad un passato illustre, annunciando la sua volontà di reinserirsi come protagonista e non come pigra spettatrice nella cultura europea.
E mi piace anche l’idea di collocare nella nuova struttura il David circondato dai Prigioni, come simbolo senza tempo di speranza e di libertà, ed intorno ad esso le memorie di La Pira, di Ghandi, di Luther King, di Giovanni Paolo II, dei grandi operatori di pace.
Chi verrà chiamato fra poco ad amministrare questa città, pensi anche a questo. Costituiamo una Fondazione che realizzi il progetto e lo gestisca. Affidi il nuovo sindaco una delega per la Pace ed il Dialogo interreligioso. Istituiamo un premio da assegnare a chi nel mondo avrà operato in queste due direzioni, come un piccolo ma prestigioso nobel tutto fiorentino. La cerimonia della consegna potrebbe avvenire nel nuovo Parterre, ma anche sugli spalti di San Miniato al Monte, fra i marmi e le mura che testimoniano il cielo alla città sottostante. Così il messaggio di un nuovo Umanesimo partirebbe ancora una volta dalla città che ne fu culla, diffondendone l’immagine nel mondo.
Come tanti ragazzi (ma nn troppo) della mia età, ho sempre avuto l’impressione che Firenze sia più un museo, un grande museo a cielo aperto che una città: silenziosa, immobile e polverosa.
Nelle mattine di Aprile, da S. Miniato, la città dei fiori sboccia ogni anno, meravigliosa e sempre uguale a se stessa: i suoi abitanti come tanti piccoli e noiosi guardiani. Firenze. Ho passato gran parte degli anni della mia vita a cercare un altro posto dove vivere!
Che si parli di ‘rinnovamento’ di ‘rinascita’, con me si sfonda una porta aperta! Eppure, nonostante ciò che lei dice sia in larga parte condivisibile, non cessa di suonare un campanello come di allarme nella mia testa. La soluzione del problema Firenze non è aggiungere infrastrutture, nuovi edifici e strutture di utilità pubblica: sono palliativi, decongestionanti di una seppur grave situazione, ma ordinaria amministrazione, mi verrebbe da dire (difficile anche l’ordinaria di amministrazione in questa nostra città).
Alla mia città manca qualcosa in più: mancano le persone e le personalità. Mancano esempi concreti, manca una guida. Manca lo spirito del Rinascimento.
Ma forse il punto è questo davvero: come si può parlare di ‘rinnovamento’, di ‘rinascita’, quando i punti culturali di riferimento per questa ‘nuova vita’ giacciono sepolti da secoli di storia? Come creare qualcosa di ‘nuovo’ con idee ‘vecchie’?
Sono convinto che, per rinascere, Firenze debba superare la sua storia, senza perdere tempo in celebrazioni e santificazioni della grandezza passata. Dobbiamo ‘rinascere’, non resuscitare quello che non c’è più. A Firenze mancano idee, non aereoporti, non strade, non parchi, non tramvai etc. A Firenze non si valorizza il Genio, non più. In barba alle manifestazioni autoreferenziate della Provincia.